Pensa a Roger Federer: il suo lavoro è il tennis, la sua passione è il tennis. Anche per Howard Schultz, storico amministratore delegato di Starbucks, il successo è nato dalla sua passione per il caffè, al centro del business della sua azienda. Ok, sono casi estremi di successo, ma quale messaggio ti possono raccontare?
Il primo, banale, è che “se il lavoro piace, è meglio”.
Ma c’è un secondo principio che puoi considerare quando costruisci il tuo percorso professionale: solo quando il tuo lavoro è davvero importante per te, ti spinge ad apprendere e innovare, solo in questi casi la tua professione verrà premiata. Non c’è altro che funzioni, nel lavoro, più della passione. Il resto è mero scambio economico tra il tuo tempo e il denaro del datore di lavoro. In questo caso, però, aspettati di essere trattato alla stregua di un mercenario.
Non importa che tu sia un tennista o un amministratore delegato: questo vale anche per il giovane ingegnere neolaureato, per lo specialista agroalimentare e per l’estetista. Qualunque sia il tuo mestiere, avrai tanto più successo quanta più passione ti coinvolgerà nel dedicare quotidianamente la tua attenzione a ciò che fai. D’altro canto, se ogni giorno provi noia, paura, rabbia verso un lavoro che odi, preparati non solo a tanta sofferenza ma anche, probabilmente, a insuccessi professionali destabilizzanti.
Ad aiutarci a riflettere sul tema ti possono tornare utili due teorie.
La prima è la teoria dell’agenzia, in voga dagli anni settanta e ancora molto presente nelle nostre organizzazioni quando si tratta di decidere come motivare qualcuno. Secondo questa teoria, se vuoi convincere persona a fare una cosa, lo devi pagare.
Sembra banale e, d’altronde, i sistemi incentivanti delle aziende lavorano proprio in questa direzione.
Eppure, proviamo a considerare un’altra teoria, la teoria dei due fattori di Herzberg, che può fornirci una mappa più completa quando si tratta di fare le nostre scelte professionali. Herzberg nei suoi studi (One More Time: How Do You Motivate Employees?, Harvard Business Review, 1968) notò che la soddisfazione a lavoro, e l’insoddisfazione, non si trovano sulla stessa linea. Non è così che funzioniamo, al punto che è anche possibile amare e odiare un lavoro allo stesso tempo. Amarlo per alcuni aspetti, e odiarlo per altri.
L’insoddisfazione professionale viene frenata dai cosiddetti “fattori igienici”, come la sicurezza, le condizioni di lavoro, per esempio in termini di orario e, appunto, la retribuzione. Una buona retribuzione concorre a limitare, insieme agli altri fattori igienici, l’insoddisfazione, ma non genera soddisfazione!
In altre parole, l’opposto dell’insoddisfazione non è la soddisfazione, ma l’assenza di insoddisfazione. Se miglioriamo i fattori igienici, non iniziamo magicamente ad amare il nostro lavoro, ma solo a odiarlo di meno.
E quali sono, invece, gli aspetti che ci portano ad amare il nostro lavoro?
Sono i “fattori motivanti”, che dipendono dal lavoro in sé, sono elementi intrinseci del lavoro e non vengono da fuori, come può arrivare un bonus economico. I fattori motivanti possono riguardare la crescita, l’apprendimento, le responsabilità gestite, il fatto di essere ingaggiati in sfide di livello sempre superiore. La soddisfazione a lavoro e la motivazione a performare nelle nostre attività nasce da aspetti che risiedono dentro di noi e nell’ambito del nostro lavoro, piuttosto che provenire dall’esterno, come ampliamente descritto nel libro di Daniel H. Pink “Drive. La sorprendente verità su ciò che ci motiva nel lavoro e nella vita”.
E cosa ci fa capire tutto questo?
Che i fattori igienici, come lo stipendio, sono dei must to have: se mancano crolla il tutto il castello, ma ci porteranno fino ad un certo punto.
Per compiere la piena realizzazione professionale, per eccellere a lavoro, per innovare, serve altro: devi puntare sui fattori motivanti.
Certo, se fai le tue scelte professionali basandoti prevalentemente sui fattori igienici, per esempio prediligendo l’offerta di lavoro che ti paga di più, o il contratto più sicuro, puoi ripagare meglio l’investimento che hai fatto negli studi. E questo può essere sensato. All’inizio ti puoi dire che va bene così, ci sta spendere qualche anno per raggiungere una migliore posizione finanziaria, e poi rispolverare le tue “vere” passioni. Ma poi lo sappiamo benissimo come vanno spesso queste cose: si inizia a posticipare il cambiamento, di anno in anno, e le insicurezze di lasciare un posto ben retribuito crescono man mano che cresce il nostro stipendio. Adottiamo abitudini di spesa di un certo tipo, abitudini alle quali non vogliamo rinunciare, e finiamo per essere intrappolati.
Non stiamo dicendo che un buon stipendio genera insoddisfazione lavorativa, stiamo dicendo che a volte i problemi possono emergere quando la retribuzione diventa il principale motivo delle nostre scelte professionali, e quando la carriera diventa solo una questione di far più soldi con l’azienda disposta a pagarci di più.
Come diceva Steve Jobs, “L’unica maniera di fare un ottimo lavoro, è amare quello che fate. Se non avete ancora trovato ciò che fa per voi, continuate a cercare”.
Le persone che amano il proprio lavoro hanno un vantaggio competitivo pazzesco rispetto a tutti gli altri, un vantaggio netto a partire da quando al mattino si svegliano per andare fischiettando in ufficio. E, secondo le ricerche, le carriere che poggiano su fattori motivazionali sono spesso correlate anche a migliori retribuzioni. Ma attenzione: non confondiamo qui la correlazione con la causalità. In questo caso sono, appunto, correlate.
Se vuoi approfondire in che modo aziende all’avanguardia come Google cercano di lasciare spazio alle passioni dei propri dipendenti, approfondisci la loro “regola del 20%“.
Perciò, ora riporta nei tuoi appunti quali sono le tue principali passioni.
Successivamente, prova ad evidenziare quelle che possono per te avere una rilevanza professionale, e tienile in mente: è a partire da quest’ultimo elenco che dovrai costruire il tuo futuro professionale!